ALEX FEDELE EP.#19 - LE PUNIZIONI DELLA KAREN(1°Parte), Capitolo II - In vacanza

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MatteoDelpiero10
view post Posted on 29/3/2012, 16:25




CAPITOLO II – In vacanza

Arrivammo a Roma il giorno dopo verso le 10:45, giusto in tempo per salpare. Il porto troneggiava nell’ambiente dando all’aria una sensazione di gradevole brezza. Il tempo aveva riservato il meglio di sé, mostrandosi assolato come non mai, e le navi erano il fiore all’occhiello di un posto davvero affascinante.
Ci eravamo diretti verso Roma, io, Bianca, Flavio e il mio fratellino. Fabio non era voluto venire. Diceva che non gli interessava la crociera, mentre Sergio disse che avrebbe approfittato della temporanea assenza di Flavio per far visita ad alcuni suoi parenti a Perugia. Bianca aveva provato a convincere Barbara a venire con noi, ma quest’ultima aveva rifiutato, dicendo che lo stesso giorno della partenza sarebbe stato il compleanno di suo cugino e che quindi le sarebbe stato impossibile venire con noi.
La “Karen” era una nave che era stata costruita nel 1984. Il volantino di presentazione che avevano allegato e che ci avevano consegnato non appena arrivati al porto, recitava che a progettarla era stato un certo ingegnere Geronimo Cavalletto. La nave era rimasta attiva fino al 1997, quando in un incidente in Polinesia, fu fatta praticamente a pezzi. Dopo la morte dell’ingegnere, la famiglia ha voluto che la nave riprendesse a viaggiare, e per qualche strano motivo chi tirava i fili dell’organizzazione aveva acconsentito. La “Karen” era di una bellezza imbarazzante.
La possenza di quella nave da crociera era sorprendente. Alla voce delle caratteristiche tecniche, erano elencati numeri su numeri di quella magnifica creatura creata in metallo. Era lunga 269 metri, ne misurava ben 29 in larghezza. Aveva un’altezza dal mare di 52 metri. Aveva una capacità di carico di 4500 passeggeri.
Praticamente un mostro sull’acqua. Ma non era stato quello che mi aveva colpito della “Karen”. Ciò che avevo percepito alla visione di questa nave è un sentimento difficilmente spiegabile con le parole. Diciamo che fui invaso da due sentimenti contrastanti tra loro. Il primo fu un grande segno di rispetto per colui che l’aveva costruita, e per coloro che ci avevano lavorato a bordo per tanti anni. Il secondo, fu una terribile angoscia, che mi pervase tutto il cuore e che mi fece rattristare. Avevo come uno strano presagio. Fantasticherie.
Ci avvicinammo alla nave, e vicino ad essa, notammo altri sette figuri, in piedi, con le valigie in mano, esattamente come noi. I nostri compagni di viaggio. Affianco a loro, altre cinque persone. Due si occupavano probabilmente dell’equipaggio. Erano vestiti con la medesima divisa e se ne stavano eretti come fusi, in una forma di professionalità davvero invidiabile. Poi c’è n’era un altro, diciamo un ragazzo sulla trentina. Aveva barba incolta e capelli biondo ramati. Gli altri due membri che formavano l’allegro quintetto dovevano far parte della direzione. Rispettivamente capitano e vice-capitano, pensai.
Arrivati lì, il tizio biondo, con la barba incolta, estrasse la sua mano dai jeans a vita bassa da lui indossati e ce la porse in segno di benvenuto.
«Salve! Tu devi essere Bianca!» disse salutando la ragazza in modo energico. «Sei il piccolo genio che ha risolto l’indovinello da noi proposto. Sei stata fenomenale, complimenti!».
«Be’ ecco … io non l’ho risolto proprio da sola. Ho avuto una mano da questo mio amico che … » disse indicandomi. Ma non riuscì a terminare la sua frase.
«Ah! Abbiamo un altro genietto a quanto pare! Come ti chiami ragazzo?».
«Alex» dissi con diffidenza.
«Alex! Bel nome! Dico davvero» disse posandomi la sua mano sulla mia spalla. «E fammi capire bene ragazzo» affermò avvicinandosi al mio orecchio «Bianca è la tua fidanzatina?».
Arrossii come non avevo mai fatto prima.
«Ma co-cosa sta dicendo? Che va raccontando?».
«Suvvia Alex» continuò facendomi gomito «è bello che qualcuno aiuti la propria ragazza … perché vergognarsene? Avete sentito signori?» disse rivolgendosi al resto della folla «c’è un timidone qui!». Non commento il mio imbarazzo. Con la folla che mi guardava con fare diffidente.
Bianca non ci vide più. Sapeva essere molto dura a volte e così fece. «Se non la smette immediatamente di raccontare stupidaggini, la riempio di pizzichi finché non sviene!» disse urlando e strepitando.
Flavio, dal canto suo, era piuttosto imbarazzato. Fingeva quasi di non conoscerci. Successivamente ultimammo le presentazioni. Il simpaticone che ci aveva intrattenuto fino ad allora, era Alvin Feretti, il creatore del premio. In seguito venivano i due ragazzi dell’equipaggio, il capitano Casolare e il suo vice Nelboni.
Stringemmo la mano a tutti. Il capitano Casolare era uno di quegli uomini scampati alla seconda guerra mondiale. Uno di quei incorruttibili uomini, tutti d’un pezzo. Fatti da carattere e cuore al 100%.
I suoi baffoni grigi poi, incutevano un aura di timore alla circostanza. Il suo vice, Gerardo Nelboni, era invece più alla mano. Doveva avere almeno vent’anni di meno. Portava i capelli a spazzola e ci guardava tutti consapevole dei gradi a lui assegnati.
Finite le presentazioni con l’equipaggio, iniziarono quelle con i nostri compagni. Alvin aprì le danze. Lo conoscevo da cinque minuti e già avrei voluto buttarlo in mare. In senso buono si intende.
«Allora, chi vuole presentarsi per primo ai nuovi arrivati? Non cercate di nascondervi signori! Tanto dovrete farlo tutti!».
«Allora comincio io» iniziò un uomo sulla sessantina, con capelli bianchi come perle. «Mi chiamo Alberto Falonghieri, ho sessantatré anni e sono un uomo d’affari. Provengo da Venezia». Il viso, solcato da rughe, mostrava ancora il verdetto di qualche anno prima. Il signor Falonghieri mi diede fin da subito l’aspetto di uno sciacallo della finanza. Indossava un doppiopetto nero.
«Ah» esclamò Flavio. «Lei è nel campo della lavorazione edile, non è vero?».
«Esatto, vede che mi conosce». Aveva già fatto il pieno di boria.
«Ok, tocca a me» disse voltandosi un uomo in bermuda verde. «Sono Lucas Meruta. Faccio il poliziotto, ho quarantaquattro anni e sono di Genova».
«Che coincidenza!» commentò ancora una volta Flavio. «Io sono un detective. Siamo quasi colleghi quindi?».
«Eh be’, sì» disse facendo un risolino l’uomo. «Ho sentito parlare di lei e di quel ragazzino alle sue spalle» disse indicandomi. «Si dice che sia un portento con le indagini». Mi limitai ad annuire arrossendo.
«Io sono Elisabetta Criota. Ho ventidue anni e studio giurisprudenza alla facoltà di Palermo. Sono nata però a Ragusa. Felice di conoscervi! Che caldo oggi, non è vero?». La ragazza in questione indossava una minuscola canottiera che poco lasciava all’immaginazione e degli shorts davvero molto provocanti. Al tutto abbinava una borsa con lunga cinta a ghirigori. Essendo di carattere espansivo, assumeva un’aria simpatica per chiunque la guardasse in volto. I capelli riccioluti, di colore castano, che le cadevano sulla fronte, completavano l’opera. Una ragazza davvero carina.
«Tocca a me non è vero?» disse un uomo completamente calvo. «Mi chiamo Federico Mascella e faccio il cuoco in un ristorante di Bergamo. Ho quarant’anni». Poi ebbe un inceppo con la valigia e si distolse dalla conversazione.
«Io sono Riccardo Montervino» annunciò un tizio barbuto. «Faccio lo stuntman per il cinema italiano ed estero. Ho lavorato anche a Hollywood e a Bollywood. Ho trentacinque anni». Montervino possedeva il fisico statuario di un body builder e l’aspetto di un carabiniere.
«Io sono Orietta Lonsi. Insegno matematica in una scuola media di Ragusa. La signorina Elisabetta mi conosce anche di vista, infatti» affermò una donna sulla trentina con capelli rosso fuoco. Teneva in mano una sigaretta. Era già la terza che si accendeva in pochi minuti. Poveri studenti. Entro la fine dell’anno avrebbero dovuto chiamare i pompieri. Quella donna poteva appiccare un incendio per tutta New York con le sigarette che presumibilmente fumava in un solo giorno.
«L’ultimo sono io» disse sorridendo un uomo stempiato. «Mi chiamo Enrico Bascia. Faccio l’operaio a Firenze». Il suo parlare era contrassegnato da quel tipico accento toscano.
I convenevoli durarono ancora per poco. Ci avvicendammo a salire sulla “Karen”. Era davvero imponente. Anche gli interni erano bellissimi. Tutta la pavimentazione era fatta in parquet. Le porte erano state rifinite ed una grossa scritta impreziosita in oro troneggiava su ogni singolo tavolo, su ogni singola porta, su ogni piccolo asciugamano. La scritta riportava ovviamente il nome della nave sulla quale ci eravamo imbarcati.
Partimmo verso mezzogiorno. Ci servirono il pranzo, tutti insieme all’aperto. La nave era immensa. C’erano anche quattro ristoranti, ma per l’occasione avevano apparecchiato vicino a poppa. Secondo il capitano, in quel modo saremmo “riusciti meglio a comprendere cosa significa essere a bordo della Karen”.
Durante il pranzo, parlammo relativamente poco. La ragione è che non ci conoscevamo bene. Insomma, eravamo in viaggio da un’ora dopotutto. Il pranzo comunque fu impeccabile e il servizio anche. Servirono piatti semplici, ma di indubbio gusto. Antipasti di mare, spaghetti con le vongole, sogliola impreziosita da pomodoro e insalata caprese. Niente male no?. Il resto del giorno lo passammo nelle nostre cabine. Uscimmo solo la sera, verso le otto. Nel pomeriggio Andrea aveva passato la giornata ad ammirare il mare dalla finestra. Bianca si era dedicata alla lettura, ma ogni tanto aveva lanciato qualche sguardo fuori. Aveva ammirato il mare con occhi sognanti e un velo di tristezza era sceso nei suoi occhi. Flavio, anch’esso affascinato dal mare, passò la giornata a fumare. Un altro po’ e avremmo dovuto regalargli due polmoni nuovi. Ad un tratto “duettò” anche con il vice capitano della nave. Fumarono due sigari italiani.
La sera, come detto in precedenza, uscimmo per bere un cocktail fresco. La nave era dotata di un piccolo bar e così tutti i passeggeri si erano riuniti, seduti ai tavolini e si erano goduti la fresca brezza della sera. Eravamo tutti a maniche lunghe, tranne Elisabetta. La ragazza indossava ancora una volta una piccola canottiera ridotta che poco spazio lasciava a papabili e pervertite immaginazioni.
Alberto Falonghieri, l’uomo d’affari che si era presentato per primo, ci guardò con sufficienza, facendo oscillare le sue pupille dal basso verso l’alto.
«Prende qualcosa detective?» chiese a Flavio scostandosi dalla sua posizione abituale.
«No, la ringrazio, al momento non desidero nulla signor Falonghieri».
«Insisto. Sono un suo fan … e anche di quel ragazzino» disse indicandomi e facendomi arrossire.
«Mi confonde signor Falonghieri» gli dissi con una mano al mento. «Non c’è bisogno di … ».
«Oh, ragazzo mio. Certo che c’è bisogno! Si vive una volta sola, perciò insisto. Prendete qualcosa e bevete con me, che ne dite?».
«Io passo, mi spiace. Comunque la ringrazio» affermai gentilmente. Non mi piaceva il modo in cui Falonghieri guardava Bianca. La guardava come un uomo della sua età non avrebbe dovuto guardarla. Presi per un braccio Bianca e la portai lontano con la scusa di farmi vedere il dèpliant del concorso. Flavio invece cominciò a bere un Long Island, uno dei più forti cocktail sulla faccia della terra. Mi domando se avesse retto. Mah …
Insomma, la vita sulla nave era una pacchia. Si passava la mattina a dialogare, a giocare, ad osservare il mare. Il pomeriggio nella propria cabina a fare ciò che più si riteneva opportuno e la sera a bere qualcosa di forte o non ancora una volta tutti insieme. Dopo due giorni avevo già inquadrato già una buona parte della personalità del resto della truppa. Falonghieri era solo un vecchio marpione, un pervertito che continuava a guardare Bianca in modo da me ritenuto molto fastidioso.
Lucas Merota, il poliziotto invece, era un tipo abbastanza onesto e lindo. Si vedeva che avesse un’attitudine particolare al lavoro. Era un tipo quieto per intenderci. Uno che si preoccupava di stare simpatico un po’ a tutti.
Elisabetta Criota era invece la classica diva di Hollywood. Aveva degli atteggiamenti provocanti, delle occhiatine naif e maliziose che lasciavano intravedere in lei una persona molto poco sicura di se. Vestiva sempre a maniche corte, qualunque fosse la temperatura. Il cuoco, Federico Mascella, e lo stuntman, Riccardo Montervino, erano tipetti abbastanza riservati. Non si erano messi molto in luce. Conversavano abilmente di tutto, mettendosi però sempre in una posizione subalterna, come se occupassero anche in vacanza i loro naturali ruoli lavorativi. Orietta Lonsi invece, la professoressa di matematica, si era dimostrata abbastanza provocatoria. Non sapevo esattamente cosa avesse in mente, ma sembrava quasi ci provasse con ogni membro della nave. Aveva ricoperto di adulazioni il capitano della nave, senza successo. Poi aveva provato col suo vice, ma ci fu lo stesso risultato. Enrico Bascia, invece era il classico brav’uomo della porta accanto. Un uomo semplice, sincero, onesto, leale, magari un po’ grezzo nei modi, ma con un cuore grande così.
Anche la seconda giornata trascorse in sintonia con la prima. Non ci furono clamorosi ribaltoni dal punto di vista della quiete e della tranquillità … almeno fino a quella sera.
 
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