ALEX FEDELE EP.#18 - CONFUSIONE E SEDUZIONE, Capitolo III - Sai quello che sto per dirti

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MatteoDelpiero10
view post Posted on 20/3/2012, 17:54




CAPITOLO III – Sai quello che sto per dirti

Entrai in sala con fare diffidente. Diedi un’ultima occhiata ai sospetti e poi via.
«Sa, signorina Morali. Lei mi affascina molto».
Flavio mi si avvicinò repentinamente e con un blando sorrisetto isterico, mi disse: «Che fai? Sei impazzito?».
«No, sta a guardare» lo rassicurai.
«Ma cosa devo guardare? Stai cercando di rimorchiare la fidanzata della vittima!».
«Che brutto termine! Dovresti saperlo, le cose non sono mai come sembrano».
Flavio Moggelli restò a guardarmi con un’espressione di compassione. Forse pensava fossi uscito di senno.
«Davvero ragazzino? E perché mai?» disse adulata la ragazza alla quale avevo rivolto il complimento.
«Be’, vede … ha la sicurezza della donna forte e imponente. Di quella che non ha nulla da temere. Devo dire che è molto affascinante».
«Ti ringrazio» affermò con occhi ammalianti.
«Non mi ringrazi signorina, davvero». Mi avvicinai a lei e le baciai la mano delicatamente. Era mia. I suoi occhi si appannarono di gioia, mentre i miei sprizzavano secondi fini da ogni parte. Se ci fosse stata Bianca probabilmente sarei finito arrosto. Non le piaceva quando facevo apprezzamenti su altre ragazze. Chissà perché poi.
«Sa cosa non mi piace di lei?».
«C’è qualcosa che non ti piace?» mi disse sfidandomi.
L’ispettore Ducato, Silvio Torchi, Walter Civelli, Flavio e la signora Gacione, guardavano stupiti la scena. Fermi, nella neve, come se avessero visto un film dal finale dolce amaro.
«Odio le bugie».
«E allora?».
Con le labbra ancora poggiate sulla fredda mano di quella donna, pronunciai le seguenti parole:
«Dica la verità signorina … ha ucciso lei il signor Lescano, non è vero?».
Ritrasse immediatamente la mano. Ora la sua espressione aveva assunto un’aria decisamente poco felice. Le sopracciglia si erano aggrottate, la bocca aveva assunto una posizione innaturale e il trucco pesante faceva si che il suo volto si rivelasse una maschera d’odio.
«Ma come ti permetti? Insolente!» mi attaccò duramente, come una pietra lanciata sull’oggetto della lapidazione.
«Lei fa la morale a me?» affermai poggiandomi contro il muro. «Eppure dovrebbe saperlo che le bugie hanno le gambe corte. In particolare, ne ha detta una che mi ha subito ricondotto a lei».
«Quale sarebbe Alex?» chiese Ducato adirato per quella scenetta quasi comica. Che ci volete fare? Mi piace inchiodare le persone poco per volta.
«Lei, mia cara signorina, ha ammesso come alibi, di essere andata in biblioteca ieri sera, per prendere dei libri per lo studio, conferma?».
«Certo che confermo!» disse sprezzante.
«E io invece smonto la sua patetica tesi. Ieri sera la biblioteca era chiusa. Lo so perché mio fratello ed una mia amica, la figlia del detective Moggelli per intenderci, sono andati lì alla stessa ora della signorina e hanno trovato chiuso. Basterà una telefonata per confermare quanto dico».
La signorina Morali aveva ora una espressione colma di rabbia. Guardava in basso, gesto tipico di chi non sa dire la verità.
«E, sfortunatamente per lei, continuai incrociando le braccia, so anche come sono andate le cose nel dettaglio».
«Muoviti allora! Che aspetti a dircelo?». Flavio si era messo in una posizione di attacco verbale e fisico. Tutto il suo corpo si era protratto in avanti.
«Un attimo di pazienza. Sapete, curiosando nello studio del signor Lescano, ho trovato un documento dove lo si attesta come unico erede di suo padre».
«Il mio ragazzo era figlio unico».
«Forse è l’unica cosa sincera che ha detto da quando ci conosciamo, signorina. Per avere quell’eredità, il signor Lescano avrebbe dovuto intraprendere un viaggio in Europa al fine di scoprire l’identità della sua madre naturale».
«Che cosa? Ma stai scherzando o parli sul serio?» chiese Vincenzo Ducato.
«Dico sul serio ispettore. Sospetto che l’omicidio abbia qualcosa a che fare con l’eredità».
«Sono solo sospetti, non li puoi spiegare, diffamatore» mi attaccò la signorina Morali.
«E allora ascolti cosa posso dimostrare» dissi staccandomi dal muro e prendendo posto su una sedia in plastica color bianco. «Lei è arrivata qui e ha finto di voler far pace con la vittima. Dopodiché, l’ha sedotto e lo ha indotto a spogliarsi … ».
«Che prove hai che sia stata io?» disse urlando.
«Suvvia signorina» dissi ridendo «Non crederà che il suo ragazzo si sia spogliato e messo in intimo con un suo collega di lavoro, non è vero? Lei lo ha sedotto,lo ha indotto a spogliarsi e successivamente gli ha legato i polsi alla stessa trave alla quale ha agganciato la corda».
«Questa è bella … che c’entro io con il fatto che i polsi siano stati legati?».
«Non credevo sarebbe arrivata al punto di doverla smascherare anche nella sua sfera sessuale. Mi dica … per caso non voleva provare un gioco erotico con il suo amato?».
Tutti impallidirono.
«T-tu cosa ne sai di queste cose? Sei ancora un ragazzino».
«Essere ragazzino, non equivale ad essere stupido».
«Santo cielo!» esclamò la Gascione.
Mi alzai dalla sedia e mi affacciai sul balconcino.
«Ricapitoliamo, lei è venuta qui, ha finto di essersi pentita per la vostre lite di qualche tempo prima e poi ha sedotto il suo ragazzo. Le ha proposto un gioco erotico, nel quale l’uomo avrebbe dovuto avere i polsi legati. Le mie successive deduzioni sono queste. Lei ha fatto chiudere gli occhi alla vittima e l’ha colpita con un oggetto contundente, fino a fargli perdere i sensi. Successivamente, ha inferito con una delle due scarpe che indossa adesso».
«Eh? Ma stai delirando? Come può un tacco rivelarsi arma di un delitto?» chiese Flavio perplesso.
«Il tacco della scarpa, se usata male, può divenire molto pericoloso. La signorina lo ha usato come arma contundente per colpire le mani della vittima. Guardate i solchi sulle mani di Lescano».
Laa scientifica fu lesta a controllare.
«E non solo» continuai «Ditemi ragazzi, cosa succede agli occhi appena svegli?».
La gente pensava alle mie parole. Poi Silvio Torchi affermò: «Non consentono una buona visione. In altre parole, si vede appannato per qualche secondo».
«Esattamente agente. Quando ci si sveglia è così, ma quando invece si riprendono i sensi in una circostanza del genere, capita di non vederci bene per più di qualche secondo e … l’apparenza inganna. Un tacco può diventare un’arma se vista sotto un’altra ottica».
«Io non capisco proprio cosa vuoi dire … » disse Flavio.
«Non ci siete ancora arrivati? Il tacco, se puntato contro una persona che ha la vista appannata ed è shockato, può sembrare una pistola!» dissi puntando il dito contro la sospettata.
In compenso la gente presente sfoderò un “oooh!” di sdegno.
«E questo il trucco che ha usato la signorina per indurre al suicidio il suo ragazzo. Probabilmente aveva provato a caricarlo lei stessa sulla sedia e a buttarlo, ma non ci è riuscita e dunque ha ricorso a questo abile trucchetto. La vittima si è svegliata e ha creduto di trovarsi di fronte una pistola. Così ha seguito alla lettera le disposizioni dell’assassina».
La signorina Giulia Morali, cadde in ginocchio, con le mani sugli occhi e le lacrime che uscivano da ogni pertugio lasciato libero dalle mani sul volto. Il volto veniva accarezzato dai capelli, stravolti per quanto succedeva. Il suo crollo equivaleva ad un’ammissione di colpevolezza.
«Perché lo hai ucciso?» chiese incredulo Walter Civelli.
«Dovevamo sposarci da anni» riuscì a dire tra i singhiozzi «Con l’eredità avremmo fatto una bella vita, ma lui si rifiutava di conoscere la sua madre naturale e di conseguenza non voleva ciò che il padre gli aveva promesso. Il suo era un discorso egoista e … ».
Non ci vedetti più.
«Un discorso egoistico il suo? Ma si ascolta quando parla? Una persona che uccide un’altra, non è degna di parlare di sentimenti, nemmeno dell’egoismo che è un sentimento negativo! Lei parla di egoismo quando è stata la prima a non voler accettare la decisione del suo ragazzo di non conoscere la sua madre naturale! E’ evidente che gli provocava troppo dolore e lei non l’ha capito, quindi si astenga da giudizi stupidi. Spero che Il Cielo abbia pietà di lei, perché io, non ce l’ho e spero non ce l’abbia nemmeno la giustizia».
Fui davvero duro. Me ne resi conto da solo. Flavio mi guardava con lo sguardo basso e si lisciava la barba come nel miglior film gangster.
Dopo i soliti convenevoli di saluto, io e Flavio ritornammo a piedi a casa. In strada riprendemmo il discorso dell’impulsività.
«Vedo che hai accettato i miei consigli».
«A cosa ti riferisci?» lo guardai con aria innocente.
«L’impulsività, no?».
«Spiegati meglio».
«E tu saresti un detective? Sei stato impulsivo per ben due volte oggi. La prima quando hai aperto il portone a spallate. La seconda, quando hai rimproverato l’assassina. Sai, il discorso dell’egoismo e affini».
«Ah, ok, capito. Be’ non me ne sono nemmeno accorto».
«Non ti accorgi di tante cose».
«E’ anche questo il bello di essere giovani no?».
«Cosa vorresti dire? Che sono vecchio?» disse adirato Flavio.
«L’hai detto tu, non io».


 
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