ALEX FEDELE EP.#18 - CONFUSIONE E SEDUZIONE, Capitolo I - Allarme caso

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MatteoDelpiero10
view post Posted on 20/3/2012, 17:44




CAPITOLO I – Allarme caso

Adoro passeggiare. Adoro sentire l’aria fresca che ti rivitalizza il viso e adoro quando il vento scompiglia quei ciuffetti di capelli che invece tu cerchi di tenere sempre a posto. Quel pomeriggio, dopo aver svolto le solite cose note, io e Flavio, avevamo deciso di andare a fare una passeggiata in periferia. In realtà, c’era un motivo diverso da quello dello svago. Il fatto è che Flavio, essendo appassionato di golf, comprava ogni mese una rivista specializzata che arrivava da Los Angeles e che commissionava lui stesso al suo edicolante. Di solito, mensilmente, si recava al giornalaio con la sua auto, ma oggi non era andata così. La calotta dello spinterogeno aveva cominciato a fare i capricci e per questo quella mattina, la buon vecchia Croma era andata a farsi “visitare” dalle mani esperte di un meccanico. Perciò, come potrete ben capire, andare in periferia, era una questione di voglia. Se avevi voglia di farti chilometri e chilometri per una rivista, allora potevi andare con Flavio. Altrimenti te ne restavi a casa. Il motivo per il quale lo seguii, fu soltanto per prendere una boccata d’aria. Mi piacevano tutti gli sport, compreso il golf, che avevo praticato in un paio di occasioni, ma non leggevo riviste, piuttosto lo guardavo in tv. In compenso, gli altri, avevano pensato bene di passare il pomeriggio in altra maniera. Avevo invitato Bianca e mio fratello a venire con noi, ma avevano risposto picche. Preferivano la biblioteca. La sera prima, l’avevano trovata chiusa. Fabio era preso dai suoi studi e Sergio aveva preso un giorno di ferie.
«Allora, che ne dici della città? Hai imparato le strade da fare in caso di emergenza?».
«Sì, non è poi così difficile. Ho dato un’occhiata su internet alle varie strade …» risposi distrattamente.
«Sai, penso una cosa di te …».
«Dimmi».
«Sei troppo razionale a volte. Voglio dire, non prenderla come critica … ma ragioni troppo, non ti lasci mai andare».
«Sono un detective!» sbottai.
«Anch’io lo sono! Ma se devo mandare a quel paese un’idiota, lo faccio senza preavviso, dannazione! Tu sei sempre troppo cauto, calmo … ». Flavio si era passata la mano destra sul viso e aveva cominciato a pensare a cosa potesse aggiungere a quella “interessantissima” conversazione.
«E quindi?» domandai già scocciato.
«Quindi se ti lasciassi trasportare di più dai sentimenti … forse raccoglieresti qualcosa in più in ogni campo».
«Per esempio?».
«Be’, anche professionale ad esempio».
«Mah … onestamente non credo di essere troppo razionale … e se anche lo fossi, non sarebbe poi un difetto».
«Ascolta figliolo, e questo non te lo dico da detective ma da uomo, in alcune cose della vita, come ad esempio i sentimenti … bisogna lasciarsi trasportare dagli attimi che vivi».
«Sì, ma chi ti dice che io non lo sappia fare?» risposi dubbioso. Che paternale e soprattutto, si era scritto le parole da dirmi? Flavio e i suoi dannati terzo grado!
«Il fatto è che non ti ci vedo».
«In che senso?».
«Nel senso che sono sicuro che se una ragazza ti chiedesse di uscire, tu rimarresti a fissarla come un perfetto stupido!».
«Ma cosa ne sai della mia vita sentimentale? Che hai un dossier pure di quella?».
«No … ma citandoti … chiamalo intuito».
«Mi sa che hai toppato signor Intuito» dissi ridendo. Per poi aggiungere «Le persone hanno una maschera. E’ un po’ il discorso di Pirandello, sai?».
«Quindi, è un modo filosofico per dirmi che fingi di essere così razionale?».
«Non proprio … è che mi adeguo a ciò che la vita mi presenta».
«E se la vita ti presentasse la circostanza in cui essere impulsivo?».
«Dannazione, ma come ti vengono questi discorsi?».
«Rispondi, sono discorsi normali».
«Assolutamente, ma a me sembra di essere il pregiudicato e tu assomigli a quei poliziotti nelle serie tv americane, dove c’è il corto, il brutto … capisci?».
«Capisco, ma ti ripropongo la domanda. Cosa faresti se la vita ti offrisse l’opportunità di essere impulsivo per una volta?».
«Be’, dovrei prima ragionare sulla circostanza e … » dissi portandomi una mano al mento. Ma Flavio mi interruppe.
«Ecco, lo vedi che sei troppo razionale? Spesso una dote che al detective serve per forza, è proprio l’impulsività. Ci saranno momenti, nei quali non avrai tempo di pensare a cosa fare e dovrai collegare il cervello a milioni di chilometri di velocità più del normale».
«Sì, lo so, ma per adesso preferisco i miei ragionamenti».
«Fa come vuoi, imparerai da solo. Io la mia lezioncina l’ho fatta».
«E-era una lezione?».
«La tua perspicacia mi sorprende a volte, ragazzo». Che sagoma eh? Che ironia non è vero?
Stavamo discutendo nell’edicola. Stavolta la conversazione era virata sul golf. Flavio si era eretto a “paladino delle buche impossibili” e altre sciocchezze simili. Ma il golf l’avrebbe fatta da padrone ancora per poco. Le persone quando urlano, riescono a trasmettere, anche se indirettamente, tutto quello che hanno dentro, sentimenti positivi o negativi. Un urlo ci fece sobbalzare. Flavio fece cadere la rivista, la sua rivista preferita e corse fuori, seguito a ruota da me. Le urla provenivano da una palazzina a pochi metri.
«Il portone è chiuso a chiave» annunciò Flavio tra lo sguardo stupito dei presenti.
«Non c’è tempo per andare a chiamare il portiere. Chi ha urlato deve averlo fatto per un motivo grave! Muoviamoci!» lo incitai.
Prendemmo una rincorsa di almeno cinque metri e ci infrangemmo contro quel portone color verde scuro. Fortunatamente era solido, ma non troppo, e quindi riuscimmo ad entrare con facilità. I condomini degli altri appartamenti, erano già sul pianerottolo, in procinto di scappare o di non dare allarmi che avrebbero potuto salvare la vita a qualcuno. Si chiama omertà ed è visto dalla legge come “omissione di soccorso”. Ma un po’ colpa mia. Sono troppo diffidente.
Continuammo a salire le scale seguendo le urla e le chiacchiere dei presenti. Alla fine, dovemmo salire tre piani per ritrovarci di fronte una scena a dir poco macabra.
Una donna anziana, diciamo sulla sessantina, con un grembiule indosso ed una scopa in mano, era a terra in preda a dei piccoli urli isterici che non davano tregua alle orecchie dei condomini. Spalancammo la porta d’entrata in legno massiccio che lei aveva appena socchiuso e proseguimmo in un piccolissimo ingresso, peraltro poco illuminato.
La scena che ci trovammo di fronte, nel salone, fu agghiacciante. Il corpo di un uomo, abbastanza giovane per essere ancora considerato single, pendeva da una trave del soffitto. Sul collo di quest’ultimo, una corda spessa e robusta, che simboleggiava la follia umana. Il corpo era quasi completamente nudo, aveva solo una canottiera intima ed un paio di boxer. Aveva le mani legate.
Flavio pensò a tranquillizzare la povera donna che aveva ritrovato il cadavere. In quanto a me, le mie riflessioni in quel momento furono molteplici. Più che riflessioni, lo ammetto, erano domande. Non tolleravo l’omicidio, ma nemmeno il suicidio. Togliersi la vita è una cosa della quale non si può andar fieri, e soprattutto, non è come pensano molti, un effetto collaterale dell’esistenza. E’ solo egoistico e non c’è nulla, non c’è nessuna giustificazione che tenga.
Ma quel cadavere aveva qualcosa di strano. Le mani avevano profondi solchi sui dorsi. Come se fosse stato colpito da qualche oggetto contundente. Cosa poteva essere? Erano distanziati l’un l’altro di pochi centimetri e avevano dei netti segni isterici. Era come se qualcuno avesse colpito a fondo la vittima sulle mani.
«Flavio, guarda qui» lo chiamai.
«Che cosa c’è?».
«Guardagli le mani» gli dissi in tono saccente.
«Come diamine … » si limitò a dire toccando le mani della vittima e posandole delicatamente. Poi si voltò verso qualche condomino troppo curioso e chiese loro di chiamare la polizia e di chiedere dell’ispettore Ducato, della squadra omicidi.
 
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