ALEX FEDELE EP.#17 OSTAGGI AL CENTRO COMMERCIALE, Capitolo II - La paura degli ostaggi

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MatteoDelpiero10
view post Posted on 16/3/2012, 14:02




CAPITOLO II –La paura degli ostaggi

In definitiva, erano le diciotto, non mi sentivo più le gambe, avevo sonno, fame, sete ed una gran voglia di buttare quelle tre grandi buste che tenevo in mano per pura cavalleria.
«Come va fratellone?» mio fratello Andrea aveva assistito al tutto e se n’era rimasto impassibile, come per star a significare di essere impotente di fronte a ciò che stava accadendo. Credetemi, una donna che fa shopping, è paragonabile ad un piccolo cataclisma.
Mentre stavamo camminando, un cane, di razza pastore tedesco, al seguito di una anziana signora, lasciò un “regalino” proprio accanto a noi. Magnifico! Uno viene al centro commerciale per rilassarsi e cosa si ritrova? Un cane che dispensa i suoi bisogni a destra e a manca. Davvero rilassante, non è vero? In compenso la signora si stava scusando con tutti coloro che si erano lamentati. Dalle donne incinte, agli uomini di mezza età con la puzza sotto il naso(e oserei dire anche dentro il naso ormai … ). Dal canto suo, il pastore tedesco, che scoprimmo chiamarsi Omar, preferiva abbaiare contro chiunque avesse qualcosa da ridire.
Dopo questo gentile siparietto, Bianca cominciò a pormi delle domande, in quanto secondo lei, avessi qualcosa da nascondere.
«Secondo me hai visto qualcosa e non vuoi dirmelo, Alex» continuava a ripetermi mentre ci apprestavamo finalmente ad uscire dal centro.
«Non ho nulla» continuavo a ripetere distrattamente, con lo sguardo rivolto altrove.
In effetti, Bianca non sbagliava. Era da almeno mezz’ora che avevo notato un tizio sospetto. Questo tale, un uomo barbuto, con i capelli rossicci e con un giubbotto verde militare indosso coperto di peli, probabilmente di animale, aveva guardato ogni vetrina e fatto delle foto ad ognuno di essa. Inoltre portava la borsa a tracollo sulla spalla sinistra. La deduzione più logica sarebbe che fosse mancino. Indovinate un po’? Faceva le foto dal cellulare con la mano destra. Inoltre, avevo notato sulla tasca destra del suo larghissimo giubbotto, c’era una sporgenza che non mi piaceva affatto.
Quando fece esplodere un colpo dalla sua pistola, una Beretta 93R, frantumando la vetrina di un negozio dedicato alle ceramiche, il mio sospetto divenne certezza. Avevo già un piede fuori dal posto, quando cominciai a correre all’impazzata lasciando la mano a mio fratello Andrea. Inconsciamente, non calcolai che mi avrebbe seguito comunque e con lui, per proteggerlo, anche Bianca la quale continuava ad urlarmi a squarciagola di non immischiarmi.
Il tizio si accorse della mia violenta corsa alle sue spalle. Il mio obiettivo era quello di saltargli sulle spalle e disarmarlo.
«Stai fermo moccioso!» mi intimò puntandomi la Beretta a dieci centimetri dal viso.
Rabbrividii fermandomi di scatto. Era come se il mondo si fosse fermato.
L’anziana signora urlava a più non posso e se ne stava abbracciata al cane, che abbaiava in modo feroce attirando l’attenzione anche dei piani alti. In circa un minuto, l’uomo col giubbotto verde ricoperto di peli, ebbe un centro commerciale enorme, popolato da migliaia di persone, totalmente in proprio ostaggio.
«Chiunque si muovi, è finito!» urlò aprendo un sacchetto di pelle.
Poi scavalcò la vetrina delle ceramiche e si fece consegnare l’incasso dalla commessa, che più che terrorizzata, era proprio inerme.
«Anche chi vuol fare l’eroe» disse guardandomi stizzito «finirà male, quindi attenzione!».
«Dimmi un po’» gli chiesi tenendo le mani alzate mentre cercavo di raccogliere tutto il mio coraggio«perché fai la rapina senza passamontagna? Sai cosa succederebbe se uno di noi sapesse riconoscere il tuo viso?».
Scavalcò di nuovo la vetrina. «E bravo il moccioso … sai, non che me ne importi più di tanto. E’ la mia ultima rapina, poi mi ucciderò. Ve lo dico perché ormai non potete più fermarvi. Ma prima di uccidermi, porterò qualcuno con me all’altro mondo. Per esempio … questa bella signorina accanto a te … chi è la tua fidanzatina?»domandò ironico afferrando Bianca con forza scaraventandola a terra con disprezzo.
Poi le puntò la pistola contro. Lei se ne stava inginocchiata, con le mani giunte, quasi come per pregare, tra le lacrime. Il tizio caricò la pistola.
«Un solo passo, una sola parola, ragazzino … e la tua fidanzatina finisce all’altro mondo. Hai capito cretino?».
Annuii carico di rabbia, con gli occhi infossati e la voglia di fare a botte. Ma non potevo. Aveva una pistola dalla sua. Se il tizio nel bar di qualche tempo prima ero riuscito a convincerlo di non fare una strage, questo mi sembrava decisamente più intenzionato a portare a termine il suo piano.
Continuava a derubare i presenti. Ripulì l’uomo di mezza età. Si fece consegnare orologi d’oro, gioielli, anellini, catenine, persino spille dal grande carattere affettivo.
Picchiò anche una ragazza sui vent’anni. L’aveva minacciata di dargli la sua catenina d’argento. Era una catenina con incise due lettere, mi parve fossero la G e la N. Alla richiesta del rapinatore di consegnargliela, la ragazza rispose picche una prima volta, picche una seconda e picche ancora una volta la terza. La risposta del tizio fu un sorriso beffardo ed un cazzotto violento con la Beretta nella mano. La ragazza venne sbalzata a terra. La sua faccia era livida, gonfia, colma di sangue. Ne perdeva davvero molto. Doveva aver colpito nella parte più dolorosa. Fatto sta che le strappò la catenina dal collo, buttandola poi a terra e calpestandola con il piede destro. Che idiota. Inutile dire che la ragazzina scoppiò in lacrime. Il sangue misto alle lacrime, è una cosa che da quando avevo cominciato a collaborare qua e là con la polizia nelle vesti di detective, avevo visto moltissime volte. Ed ogni volta ti sentivi uno schifo. Perché la gente nasce umana, diventa belva e muore di nuovo umana, ma non per volere, ma solo perché la vita ti costringe. Strano no? Me ne stavo inerme, guardando negli occhi Bianca, che non aveva ancora dato segno di vita. Rimaneva a terra, disperata, sconvolta, con i capelli che le carezzavano gli occhi umidi. Mio fratello mi stava attaccato alle gambe, in segno di protezione. A cinque anni, ritrovarsi in quelle situazioni, era davvero sorprendente, oserei dire disarmante. Tra un po’ mio fratello sarebbe stato più intraprendente di me.
Il cane abbaiava con forza e violenza. L’anziana signora veniva minacciata dal rapinatore e l’uomo di mezza età si lasciava cullare dal pericolo. Era impassibile, ma dentro di lui aveva l’angoscia di chi non sa se avesse rivisto sua moglie, o i suoi figli.
C’erano altri due personaggi molto particolari. Un ragazzo sui trent’anni, completamente ricoperto di tatuaggi di ogni tipo e una donna sulla cinquantina, distinta,abbastanza snob, con un fare naif, che anche quando ebbe da consegnare i suoi anelli al rapinatore, non perse la sua aria di supponenza.
Il ragazzo con i tatuaggi, si carezzava l’ultima garza. Doveva essere l’ultima opera d’arte inflittagli sul suo corpo. Per il resto, il suo berretto gli nascondeva gli occhi. La donna, anch’essa con capelli ramati, aveva in controluce, tutti gli occhiali sporchi. Che avesse pianto? Che avesse avuto un incontro ravvicinato con qualche dinosauro. So cosa pensate. Sto scherzando in un momento come questo. Purtroppo è così. Devi avere la forza di dominare la paura. La paura, in alcuni casi, è la tua amica più fidata, quella da cui si va per ricevere un consiglio, quella che ti fa regredire da supereroe a uomo, quella che ti colpisce forte, ti strattona, ti da segnali di scossa.
Intanto nell’aria, continuavano a volare peli dal giubbotto del tizio. Un paio di persone starnutirono. Dovevano essere allergiche.
«Ed ora» ricominciò a parlare tra il silenzio misto alla paura «completiamo l’opera. Finiamola qui. Volete ragazzi? Allora? Morirò qui! In questo centro commerciale! Ma tre di voi verranno con me!»concluse con una risata sadica. Era inquietante.
«A cosa diamine è servito allora, fare la rapina?» chiese l’uomo di mezza età, con i polsini della camicia sbottonati e l’aria sconvolta.
«Non dirmi quello che devo fare, idiota! La mia missione era quella di farvi creare un grosso spavento e poi di portarmi tre di voi con me, all’altro mondo, in modo che non dimentichiate mai questa giornata!».
 
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