ALEX FEDELE EP.#17 OSTAGGI AL CENTRO COMMERCIALE, Capitolo I - Svaligiamo il centro commerciale

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MatteoDelpiero10
view post Posted on 16/3/2012, 13:59




CAPITOLO I –Svaligiamo il centro commerciale

Le donne, si sa, sono amanti dello shopping. Tutto ciò che si può acquistare, loro lo vogliono e tutto ciò che non si può comprare, ma che ha l’aspetto da “adorabile”, le rendono incredibilmente nervose e oserei dire nevrotiche. Quel pomeriggio, Bianca ed io e mio fratello Andrea avevamo svolto i nostri consueti compiti. Bianca aveva sbrigato le faccende scolastiche, Andrea aveva sbrigato le sue e in quanto a me, Flavio mi aveva detto che non c’erano casi all’orizzonte.
Mi ero disteso sul divano, bello e contento per un giorno in casa, ma poi, quando stai rilassandoti, quando hai i nervi del collo che si rilassano … arriva qualcuno a romperti le scatole. Quel qualcuno, per quanto mi riguarda, aveva un nome e cognome: Bianca Moggelli.
Si era seduta affianco a me saltellando in modo espansivo e aveva cominciato a chiedermi insistentemente: «mi accompagni al centro commerciale? Mi ci accompagni?». Io, povero ingenuo, le avevo chiesto dove fosse finita Barbara, la sua amica del cuore, ma mio malgrado non avevo tenuto in conto una cosa. Barbara era stata ricoverata in ospedale da pochi giorni, visto che doveva operarsi all’appendicite e Bianca si ritrovava senza una compagna che le desse consigli di moda. Così, con suo padre avente la sensibilità di un bufalo ad una gara clandestina di corsa, l’unica “vittima” che le era rimasta ero io, visto che suo fratello stava studiando per gli esami di medicina che avrebbe dovuto sostenere a breve. Così, dopo interminabili preghiere da rivolgere piuttosto ai santi e non certamente a me, avevo acconsentito, a patto che fossimo andati in libreria per dare uno sguardo ai libri gialli e che fossimo tornati presto. Voi ora direte, poveri illusi, che io sia un po’ troppo duro con Bianca. Be’, amici miei, toglietevelo dalla testa immediatamente. Il fatto è che voi non la conoscete affatto. Il sabato pomeriggio, quando la scuola chiude i portoni fino al lunedì mattina, i pavimenti del centro commerciale si consumano sotto i decisi passi di questa ragazzina e delle sue amiche. Entrano ogni settimana, in ogni negozio, per vedere ogni volta le stesse cose. Dalle scarpe alle borsette, dai lucida labbra ai jeans. Insomma, come dicevo poche righe fa … tutto ciò che si potesse comprare era a portata di mano. Non avevano mai speso tanto, ma la cosa più irritante era che una volta rientrate a casa, restassero a parlare al telefono per ore, scambiandosi confidenze sui vestiti. Frasi del tipo: «Hai visto quel completino pistacchio, com’era carino?», alla quale considerazione segue risposta «E perché non l’hai preso?» e così via.
Bianca mi affascinava. Non era la solita ragazzina di diciassette anni, futile e con poche idee in testa. Non pensava solo a vestiti e ornamenti insomma. In realtà, sapeva ragionare, amava la scuola, le piaceva studiare ed era incredibilmente virtuosa.
«Fratellone, ma ci dobbiamo fermare ad ogni negozio?» mio fratello mi teneva la mano e, guardandomi dal basso verso l’alto, mi rivolse questa domanda.
«Ah non lo so. So solo che non sento più le gambe a furia di camminare. Incredibile, è peggio dei giri di campo a calcio».
Bianca, che camminava pochi metri avanti a noi e non aveva ancora acquistato niente, rallentò il passo e cominciò a parlare.
«Come siete lamentosi voi maschi! Se Barbara non fosse stata ricoverata … ».
«Sei gentile … » dissi ironizzando.
«Lo so …». Praticamente era una sagoma.
«Ascolta» le dissi appoggiandole una mano sulla spalla. «Quanti negozi dobbiamo girare ancora?».
«Uff … sei qui solo da mezz’ora, abbiamo visto solo due negozi e sei già stanco? Cosa dirai quando ti chiederò di portarmi le borse?» domandò ridacchiando tra sé e sé.
«Potrei piantarti qui per esempio».
«Non oseresti … » replicò indignata.
«Signorina, lei non mi conosce» cominciai a risponderle passando in tono scherzoso dal “tu” al “lei”. Si ricordi che le chiavi della macchina ce le ho io» le dissi sorridendo.
«Lo so, ma non lo faresti comunque» commentò in aria di sfida.
«E perché ne sei così sicura?».
«Semplicemente perché sei una persona seria».
«Quindi … è su questo che ti basi per farti piacere un ragazzo?».
Si voltò verso di me, stupita. «Scusa, ma chi ha mai parlato di ragazzi?».
«Ehm … era solo una curiosità» dissi imbarazzato.
«Ascolta» continuò - «Posso farti una domanda personale?».
«Dimmi tutto».
«Nella tua città … a Fondi … avevi una ragazza?».
«No.Perché?».
«Solo curiosità, nient’altro. Volevo solo sapere se avevi qualcuno dall’altra parte a prendersi cura di te».
«A prendersi cura di me?» dissi con la faccia stranita.
«Già».
«Scusa, cosa intendi esattamente?». Continuai mentre le camminavo affianco.
«Di solito, è la donna che si prende cura dell’uomo. Lo sappiamo tutte che siete eterni bambinoni».
«Noi eterni bambinoni? Non siamo mica capricciosi come voi!» dissi adirato.
«Perché ti scaldi tanto? Scusa, qual è il problema?» mi placò socchiudendo i suoi piccoli occhi.
«Nulla, ma mi dici che siamo “bambinoni” … ».
«Perché è vero, dai! Prendi mio padre. Ha più di quarant’anni, eppure non cresce ancora. Gli riordino l’ufficio ogni settimana e puntualmente gli ripeto di non commettere gli stessi errori. Indovina che succede? C’è sempre inchiostro a terra, cibo ovunque e pratiche sparse. Nemmeno Sergio riesce e mettere in ordine quel putiferio».
«Che c’entra Flavio? Lui è un caso a parte!».
«Cosa vuoi dire?» disse con aria turbata.
«Nulla,solo che tuo padre è uno che con l’ordine fa a cazzotti».
«Oh, guarda quelle scarpe!» urlò in mezzo alla folla distogliendo l’attenzione dal discorso. La sua attenzione si era posata su un negozietto modesto, chiamato “Hercule” e su un paio di scarpe da tennis,ornate con delle stelle.
«Che carine!» continuava a ripetere sotto il mio sguardo perplesso.
«Guarda il prezzo. Non è mica carino pure quello!» dissi ironizzando.
«Be’, in effetti è un po’ caro … ma ho dei risparmi da parte. Da quando gli affari vanno meglio, papà ha aumentato la pecunia» disse sorridendo.
«Pecunia?».
«Ma sì, soldi, stipendio, paghetta, chiamalo come vuoi, insomma ho più soldi, più disponibilità finanziarie, chiaro?».
«Limpido».
Per sintetizzarvi, perché altrimenti non mi basterebbero le parole, quel pomeriggio, dalle sedici alle diciotto, entrammo in quindici negozi, di cui tre solo di scarpe. Ogni negozio aveva la musica sparata a palla, che lanciava musica rock, funk, punk, e miscuglio di suoni accozzati che loro avrebbero poi osato definire musica. Oltre a perdere l’uso dei timpani, persi anche e soprattutto la pazienza. Avete presente quei film, nei quali il padre della ragazza va al centro commerciale con la figlia che deve scegliersi il vestito per il ballo? Ecco, eravamo così.
Non so quante volte Bianca indossò decine di capi d’abbigliamento diversi per poi non acquistare nemmeno uno. Si cambiò milioni di volte, cogliete l’iperbole per cortesia, e trovò difetti ad ogni cosa. Un abito era troppo stretto, l’altro troppo largo, quello a destra aveva lo spacco troppo vertiginoso, il jeans era troppo vistoso. Ah, le donne!
La cosa peggiore fu che chiese sia a me che Andrea di dare un parere. Mio fratello si abbonò al “ti sta bene, sei bellissima!”, mentre io dissi realmente ciò che pensavo. Be’ … indovinate un po’? Si arrabbiava quando la criticavo e quando le facevo dei complimenti. In sintesi, non c’era modo di accontentarlo. Lo ripeto … ah, donne!
 
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