| Carissimi amici del vwe forum, ho voluto aprire questo topic per portare a conoscenza di molti di voi, il pensiero di un grande conoscitore e amante del wrestling a riguardo di questa disciplina. Infatti è di ieri(27/8/2011) la pubblicazione di questa riflessione sul wrestling da parte di Stefano Benzi. Personaggio noto a tutti come grande conoscitore e cultore del wrestling in italia. Uno dei primi e unici a difendere la disciplina a spada tratta da tutti gli attacchi esterni che i pseudoesperti fanno contro il wrestling. vi prego di leggere quello che è il suo pensiero e poi, se volete, date un vostro commento alla questione. Questo dibattito servirà a tutti per crescere e far crescere l' amore per il wrestling. questo il testo dell' articolo di stefano benzi: Evviva! Il wrestling non è più diseducativo Dopo diversi anni di oscurantismo televisivo, il wrestling è tornato sulle reti in chiaro. E’ ormai di qualche settimana l’accordo tra la WWE e Mediaset che ha segnato il ritorno dei prodotti televisivi del colosso di Stanford sulle reti del biscione. Un ritorno quatto quatto (su Italia 2) ma anche abbastanza sorprendente considerando come si erano interrotti i rapporti tra la federazione dei McMahon e la rete italiana: come tutti i fan del business ricorderanno all’indomani della tragedia di Chris Benoit, che in un raptus di follia si suicidò dopo aver ucciso il figlio e la moglie, Italia Uno decise di cancellare il wrestling dai suoi palinsesti. La vicenda ebbe una vastissima eco in Italia e in tutto il mondo. Forse anche perché non di molto successiva alla scomparsa di un altro wrestler popolarissimo come Eddie Guerrero, stroncato da un infarto a pochi giorni dal tour che avrebbe dovuto portarlo anche nel nostro paese. Il wrestling è costellato di episodi drammatici, a volte sfortunati e a volte evitabili: basta dare un'occhiata qui (www.pwwew.net/people/dead.htm) per capire che la tragedia di Benoit è stata sicuramente la più terrificante e sconvolgente ma spicca in un elenco piuttosto lungo. Una vicenda che come tante altre morti tragiche, con il wrestling aveva poco a che fare. I fans protestarono, raccolsero firme, ma non ci fu alcun ripensamento. L'Italia fu l'unico paese che chiuse la trasmissione in chiaro… che altrove andò avanti magari con meno entusiasmo ma senza conseguenze. Che Benoit fosse una persona in grande difficoltà, profondamente depressa per via della grave malattia del figlio e delle incomprensioni che lo stavano portano alla separazione dalla sua seconda moglie, forse lo si sapeva: e che avesse bisogno di aiuto, qualcuno dell'ambiente, molto vicino al wrestler canadese, lo aveva anche ipotizzato. Che il wrestling sia un'attività logorante che ti porta ai limiti di qualsiasi sopportazione, del dolore, della lontananza da casa e dai tuoi affetti non è da ieri e neanche dall'altro ieri. Questo è il modello del business e dello sport americano che porta qualsiasi professionista dello spettacolo o del mondo sportivo a essere pronto e tirato a lucido per scendere in campo. Accade con basket, baseball e hockey. L'arena va riempita, l'agenda delle dirette tv va colmata e il roster dev'essere in piena efficienza. Chi non c'è non guadagna. E' così… Si può discutere su questo, sulle pretese dei fans e della compagnia di accontentare quanti più clienti e distributori possibile e sulla purtroppo ormai frequente abitudine di molti wrestler di aiutarsi con painkiller e anabolizzanti (non che gli altri sportivi americani ne siano immuni). Ma che una tragedia familiare si trasformasse in uno strumento negativo per il marketing televisivo lo dovevo ancora vedere. Un secco comunicato del direttore dei programmi della rete Luca Tiraboschi chiuse la discussione sul nascere: "Finchè si trattava di "botte" tra personaggi al confine tra i supereroi dei fumetti e i protagonisti dei cartoni animati, tutto funzionava nei giusti canoni dello spettacolo e del divertimento (trascrivo letteralmente dal comunicato di allora) ma quando la cronaca nera più efferata contamina la nostra proposta, allora Italia 1 non ci sta più". Una motivazione curiosa, considerando che altri programmi della rete non sembravano distinguersi per una sana proposta di spettacolo e divertimento ed erano al centro di polemiche e proteste anche da parte dell'associazione consumatori e di associazioni per la tutela dei minori. A meno che Lucignolo non fosse un cartone animato… ci dovrei riflettere in effetti. Il fatto è che la tragedia di Benoit, un dramma familiare tristissimo sul quale non è ancora stata fatta piena chiarezza, c'entrava poco. A scatenarla era stata la folle, incomprensibile e ingiustificabile reazione di un padre, preoccupato per le condizioni di un figlio gravemente disabile, un marito reso disperato dalla decisione della moglie di lasciarlo. Il tutto aggravato da motivi economici mai completamente chiariti e da un'acuta dipendenza da farmaci antidepressivi che, posso garantire, non riguarda solo i wrestler. Il nostro paese è uno dei più floridi consumatori di farmaci di questo tipo, spesso procurati autonomamente e senza ricetta, da distributori senza scrupoli che agiscono tra Cina, India e dintorni. Nel frattempo nel wrestling ci sono state altre morti eccellenti: come quella di Umaga, stroncato a soli 36 anni da un infarto, di Test, ucciso a 33 anni da un overdose di Oxycodone, un potente analgesico a base di oppio. Intendiamoci, io sono felicissimo che il wrestling torni in chiaro. Sono stato un sostenitore di questa forma di intrattenimento da sempre, da quando in Italia non lo conosceva nessuno, o veniva fraintesa come una bambinata: cosa che non è assolutamente. Posso garantire che il wrestling è qualcosa di cosa molto più complesso, difficile e articolato di uno show "in cui personaggi al confine tra i supereroi dei fumetti e i protagonisti dei cartoni animati, si danno delle 'botte'". Quello succede nel teatro delle marionette. E se una rete compra un prodotto televisivo si parte del presupposto che abbia capito che cosa propone. Anche perché c'è una responsabilità diretta in queste proposte… La tv non è uno strumento educativo, non deve esserlo. Ma non può neppure essere il raccoglitore differenziato di qualsiasi pattume come stiamo vedendo ultimamente. E dunque spieghiamo… Il wrestling NON E' UNO SPETTACOLO PER BAMBINI, è uno spettacolo per famiglie: così come la TV NON E' UNA BABY SITTER, E NON DEVE EDUCARE NESSUNO (anche perché nel nostro paese saremmo rovinati). A farlo dovrebbero pensarci famiglie e scuola. Che poi un programma possa essere condotto e curato in modo più o meno educativo, sta a chi il programma lo conduce e lo cura. In Italia questo genere di trasmissioni, ben curate e condotte, scarseggia. Ma non è che i documentari siano campioni di audience… Il wrestling è una forma molto complessa di imprinting tipicamente americano con il quale il padre 'spiega' la vita ai figli, è una sorta di scambio generazionale che si sviluppa per linea patriarcale. Il buono e il cattivo, il bello e il brutto, il giusto e lo sbagliato: diventare campione truffando, cosa che ti rende un vincente ma inviso alla folla, arrivare al tuo obiettivo anche se tutti ti considerando un buono a nulla, un diverso, contendersi qualcosa come l'amore di una donna o persino la custodia di un figlio (splendida e commovente storyline tra Rey Mysterio ed Eddie Guerrero), l'amicizia e il tradimento… Come tutti i libri e le fiction, il wrestling ha scritto pagine indimenticabili, e altre meno belle: è uno show infinito che si inanella sera dopo sera, settimana dopo settimana. Non tutti i capitoli sono riusciti, o belli. Ma gli americani cominciano proprio così a spiegare ai propri figli concetti come mission, achievement, leadership, honesty and respect, che costituiscono le fondamenta della cultura americana. Ognuno ha i suoi modi di spiegare le cose: gli americani lo fanno con il wrestling, mischiando elementi di finzione e di verità al punto che il confine tra le due cose non sai più quale sia. Cosa alla quale bisogna stare estremamente attenti: perché i bambini non lo capiscono. Ma gli adulti sì: ed è per questo che a vedere il wrestling, vicino a un figlio c'è sempre un nonno o un papà. Ci sono straordinari scrittori, attori e sceneggiatori (Steven Spielberg, Stephen King, Jack Black, Ben Stiller e suo padre Jerry, Andy Kaufman) che, magari sotto pseudonimo, hanno partorito pagine indimenticabili di wrestling, e intere generazioni di americani che sul wrestling hanno creato un canale di comunicazione con i propri figli. Roba che per noi italiani non ha alcun senso: perché abbiamo altri valori, altre radici, altra storia. Se noi presentassimo qualcosa di tipicamente italiano agli americani, qualcosa di completamente diverso da quella che è la loro cultura, dovremmo spiegarla. Per bene… e magari non piacerebbe. Provate a spiegargli perché ci massacriamo per il calcio: ci ritengono degli idioti. E se guardiamo la cosa dal loro punto di vista hanno ragione: ora che ci penso, anche dal mio. Per i romani il tramite erano i gladiatori, per i cinesi (con il Muoxi) e giapponesi (con il No o il Kabuki) i personaggi e le maschere del teatro tradizionale, per i greci quelli di tragedie e commedie. Il patto tra i fan del wrestling e le superstar dello show è chiarissimo: "Io ti racconto una storia, tu prova a interpretarla e vivila come se fosse reale". E' il cinema, ma in carne e ossa. Qui da noi il wrestling lo si è spiegato poco e male: "non fatelo a casa", e il bimbo, solo davanti alla baby sitter tv, sarà la prima cosa che farà a scuola. Qui ci si è limitato ad accaparrarsi un mercato. Finché tira bene, quando non tira più, si molla. Non mi nascondo dietro un dito: il wrestling è un business immenso che coinvolge investimenti per centinaia di milioni di dollari e ricade, a cascata, su chi produce figurine, magliette, gadgets, show, dvd e quant'altro. Essere nel 'business', come i wrestler (che si autodefiniscono workers) chiamano il wrestling, è logorante e stressante: ogni wrestler sostiene dai sei ai sette show a settimana, sempre in città diverse. E poi ci sono la promozione, le registrazioni, le attività parallele. Ogni sera i bump, i salti, le prese e i colpi, veri o presunti finti che siano (inutile spiegare che i colpi ci sono e fanno molto male, ci ho già provato, anche troppo…), costano fatica, sudore e dolore. C'è chi si cura con analgesici, anti-infiammatori, c'è chi va in depressione, c'è chi non vede la famiglia per sei mesi, c'è chi non è capace di fare altro e chi non ha messo una euro da parte. Succede nel calcio, nelle industrie della old e della new echonomy, nelle scuole e nelle fabbriche. Solo che il logorante impegno che il ring e gli allenamenti comporta, produce vittime: nel wrestling ce ne sono state troppe, con il conforto di un'America che vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Cinque sei partite di hockey, di basket, di baseball, almeno una quindicina di house show di wrestling nei quali i wrestler devono essere perfetti, tirati a lucido e in forma smagliante. Se no lo show non è credibile. La cosa che mi fa un po' schifo del nostro paese, e che giudico in questo senso profondamente ipocrita, è che le cose possono piacere o non piacere, comprese o no, interessare o meno. Ma, chissà perché, hanno un senso solo se muovono denaro. A me se una cosa non piace non la guardo. Se non la capisco ma mi interessa capirla, faccio uno sforzo per entrare in quel meccanismo. La stragrande maggioranza del pubblico televisivo italiano non capisce il wrestling e non lo capirà mai: in compenso si riempie il cervello di ridicoli reality show che l'unica cosa di reale che hanno sono i dati di audience e il fatturato. Dunque, con buona pace dei benpensanti del nostro paese siamo di nuovo pronti a sdoganare il wrestling che ora può tranquillamente andare in onda su Italia Due, con gli stessi identici commentatori di quando fu sospeso (Giacomo Valenti e Chris Recalcati) e sulla rete diretta da Luca Tiraboschi. Sì, non è un omonimo. E' proprio lo stesso che sospese il wrestling su Italia Uno. Il che mi porta a pensare due cose: o improvvisamente "il wrestling è rientrato nei giusti canoni dello spettacolo e del divertimento", d'altronde il medico calabrese che due giorni dopo la tragedia di Benoit freddò moglie e due figli a colpi di pistola non aveva nulla a che fare con il ring, o the show must go on. A patto che venda magliette e faccia ascolti. Il canale di comunicazione è aperto: in molti mi chiedono 'perché mi sono occupato di quella stronzata americana che mi ha rovinato la carriera' quando lavoravo a Sportitalia ed ero un apprezzato (credo) telecronista su Sky. Sono pronto a rispondere. Alle persone che abbiano davvero voglia di capire. Il wrestling non ha tolto niente alla mia carriera e alla mia professionalità: mi ha divertito, appassionato e avvicinato a migliaia di persone che non ho mai sentito così vicino parlando di calcio o altro. Mi ha fatto tornare ragazzino, fan tra i fan, senza stress e tensioni, senza paure, costringendomi a inventare il mio ruolo. E se mi ha tolto qualcosa, magari il rispetto di qualche collega impettito che con certe cose non si mischia, che non sta bene, non me ne può fregare di meno. Pubblicato da Stefano Benzi
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